Nives MEROI


Vai ai contenuti

storie di montagne nascoste

RACCONTI

STORIE DI MONTAGNE NASCOSTE
dalle Alpi Giulie all’inesplorato versante nord del Gasherbrum II Pensiamo ad una montagna.Nei nostri occhi la mente tratteggia i contorni della parete che abbiamo salito o anche soltanto visto.Ma un giorno, inaspettata, nasce la voglia di scoprire cosa c’è dall’altra parte, di vedere l’altra faccia, quella nascosta e oscura dello specchio.La scoperta è un piacere che abbiamo ormai perduto ma non lontano, appena smarrito, facile da ritrovare se sappiamo lungo quali sentieri cercarlo.Sentieri che nascono dai tuoi passi, seguendo valli, attraversando fiumi e scavalcando selle fino a girare l’angolo, per affacciarsi su mondi inesplorati, vecchi di millenni, ma che solo ora prendono vita, al loro primo apparire all’occhio di un uomo.Le Alpi Giulie “ Per quanti monti io abbia visto, nessuno eguaglia le Giulie…”Così scriveva alla fine dell’ottocento Julius Kugy, uno fra i primi esploratori di queste montagne insieme alle sue guide, audaci scalatori e bracconieri.Le Alpi Giulie sfiorano appena i 2800 metri, ma la loro bellezza selvaggia incantò Kugy, e lo spinse a dedicare a questi monti la sua vita e la sua poesia. Poi vennero le guerre e il mondo fu diviso in due: da una parte l’Occidente, di fronte il blocco Comunista che iniziava proprio con la Yugoslavia, e un tratto del confine fra i due mondi correva proprio sulle creste delle Alpi Giulie. In queste terre i confini non erano mai stati ben definiti né avevano costituito una barriera netta, ma da quel momento l’invisibile riga di divisione diventò invalicabile. Tutta la linea iniziò ad essere rigidamente sorvegliata, pattugliata estate e inverno dai graniciari, la guardia confinaria iugoslava. “Sbucavano oltre il ciglio con il mitra spianato, e meglio forniti di pallottole che di cibo, avevano anche il grilletto facile. “. Così racconta Ignazio Piussi, il nostro grande ladro di montagne, che molte volte, all’uscita di una via, o all’inseguimento di un camoscio, era dovuto scappare a gambe levate con le pallottole che fischiavano vicino.Sembrano le scene di un film, ma sono storie reali di gente, a cui i confini e la storia aveva spaccato la terra in due. E neanche storie lontane, come quella di Romano che ancora bambino, venne fermato e portato a valle in caserma con le mani dietro la nuca come un vero delinquente, con addosso la paura per quello che gli stava succedendo e per quante poi ne avrebbe prese a casa. E questo solo perché era entrato di qualche decina di metri in territorio iugoslavo. Negli anni la storia internazionale è cambiata e anche qui pian piano, le tensioni si sono allentate.Ma le Alpi Giulie erano state ormai dimenticate, offuscate dal resto della più famosa catena alpina e abbandonate dal mondo alpinistico.Chi continuava ad arrampicare qui, era lo stesso piccolo gruppo di alpinisti, ormai amanti di queste montagne che in cambio, donavano loro un alpinismo ancora esplorativo e pulito, e fuori dalle mode proprio perché nascosto e isolato. Un isolamento che ha mantenuto l’integrità dei paesaggi e che ancora oggi fa sì che ci si possa aprire a esperienze e sensazioni forse altrove dimenticate. Lo stupore per la magia dei luoghi, il muoversi nella solitudine di panorami severi e selvaggi, ti da’ la sensazione di far parte dell’ambiente e insegna un alpinismo quasi istintivo, fluido nella salita e logico nell’orientamento. Un alpinismo non da consumare, ma espressione libera e aperta alla fantasia. Una creazione armonica ed equilibrata in cui mettere alla prova la nostra capacità di vedere la via e di sentire le linee naturali, delineare le nostre capacità e i limiti, e confermare noi stessi. Immersi in quella solitudine che insegna l’autosufficienza, una consapevole autonomia fisica e psicologica.E da qui, all’esplorazione sugli ottomila, è stato per noi un passo naturale.20 giugno 2000. oasi di Ylika – Sinchiang cinese. Siamo arrivati a Ylika, ultimo villaggio prima di raggiungere il versante nord della catena del Karakorum. L’oasi ti appare come un miraggio, in mezzo al grande altopiano desertico. Una piccola perla di verde, protetta tutt’intorno dal villaggio. L’attraversiamo piano e sembra di muoverci non solo nello spazio, ma anche nel tempo per ritornare ad un medioevo di colori, suoni e sensazioni. Il villaggio è abitato da kirgisi, una delle etnie che popolano questa zona. Anticamente erano nomadi; si spostavano con le loro greggi, accudite dalle donne, mentre gli uomini cacciavano, facevano trasporti con i cammelli e ogni tanto depredavano le carovane in transito. Ora sono quasi stanziali, e solo in estate le donne e i bambini salgono agli alpeggi con i loro animali.Sono già passati sei anni da quando camminavamo su questi sentieri: era il 94 ed eravamo diretti al K2, che volevamo conoscere dal lato meno celebrato e affollato: il versante nord. E dopo sei anni siamo di nuovo qui, per incamminarci questa volta, verso l’inviolato versante nord del Gasherbrum II.Il Gasherbrum II è uno dei quattro ottomila della catena del Karakorum, scelta dalla storia come segmento della riga di divisione fra Pakistan e Cina. E’ dal versante pakistano che anche il GII fu salito per la prima volta; era il 1956 e da allora tutte le spedizioni che sono seguite lo hanno salito sempre dallo stesso versante: quello sud. Solo lo scorso anno, una spedizione giapponese si è avventurata qui e seguendo la cresta nord est ha raggiunto all’incirca quota 6700 metri.Siamo partiti da casa il 6 giugno; un lungo viaggio iniziato in aereo e continuato in autobus e camion attraverso Pakistan e Cina. Passo dopo passo i nostri mezzi di trasporto si sono ridotti fino al pick-up che ci ha scaricato qui, insieme ai nostri bidoni. Adesso ci restano soltanto i piedi, che per i prossimi due mesi saranno i nostri unici mezzi di locomozione. In spedizione la vita è piuttosto spartana, tutto è all’osso e non ci sono sprechi; ma può far bene un po’ di vita essenziale: la semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine.Da domani partiremo a fianco della nostra carovana di cammelli, e sotto la guida dei cammellieri verremo accompagnati lungo la valle Shaksgam, fino alla confluenza con il ghiacciaio dei Gasherbrum. La partenza della prima tappa è sempre una fiera.Folla, bagagli, urla. Ogni carico viene pesato e ripesato più volte. Tutti gridano e si strattonano. L’atmosfera si scalda sempre più, finché tutti gli accordi saltano e bisogna ripartire da zero. Ci vuole un’intera mattinata per risolvere la vertenza sindacale, che puntualmente verrà ripresentata ogni sera, alla conclusione della tappa. Appena incominci a camminare, la spedizione esce da quella specie di limbo che è stato il viaggio, i preparativi, l’autobus e diventa una cosa viva: una carovana, il cielo, le montagne. Una lenta e faticosa acquisizione degli umori della terra. Un passo dopo l’altro, con paziente curiosità ti avvicini alla meta; è bello avere tempo per prepararsi all’incontro, perché ogni montagna ha tutta una sua diversità, una sua bellezza e una sua personalità. Per due giorni seguiamo il canyon scavato nei millenni dal fiume Yarchand. Camminiamo sull’immenso letto di ciottoli attraversato da una ragnatela di fiumiciattoli; poi il sentiero sale, scolpito nei fianchi delle montagne per inerpicarsi fino al passo Aghil, a quasi 5000 metri, dove ci fermeremo a dormire a fianco di un minuscolo villaggio kirghiso.Anticamente queste valli impervie erano dei corridoi di transito per gli scambi commerciali fra l’Asia centrale e l’ India. Verso la fine dell’800 i continui attacchi alle carovane da parte di predoni, spinse gli inglesi, interessati al controllo, a cercare di scoprire da che parte entravano i briganti, e fu così che nel 1889 venne esplorato per la prima volta il braccio meridionale di questa valle.22 giugno - passo AghilQuando arrivi all’Aghil, il villaggio è talmente uguale a tutto quello che lo circonda, che non lo vedi subito. Poche casupole di sassi col tetto di frasche, grigie come le montagne che le circondano. Il villaggio è già abitato, ci sono le donne che insieme ai bambini staranno quassù tutta l’estate a pascolare le greggi.I primi a venirci incontro sono i bambini, ai quali Fabio, come un babbo natale, distribuisce giocattoli e penne. Per le donne invece, ha portato le foto che proprio a loro aveva fatto nel 94.Sono gentili e ospitali e ci offrono una casa per dormire.A differenza di tanti posti come questo, qui nessuno mendica. Nei secoli, le comunità così isolate avevano sviluppato un loro sistema di sopravvivenza e utilizzando quel che li circonda, erano arrivate a produrre tutto ciò di cui avevano bisogno. L’arrivo dello straniero ha rotto questo equilibrio antico, e ha introdotto una cultura da mendicanti che ha fatto perdere a queste genti il senso della propria identità. E’ questo uno degli aspetti devastanti del turismo, anche se qui, prima che dai turisti, l’equilibrio è stato rotto proprio dai cinesi. Anche qui dunque, la storia di una civiltà marginalizzata; marginalizzata e offesa dallo strapotere di un'altra. La storia di una civiltà che cerca di sopravvivere al confronto con l’Altro e mantenere la propria identità, oscillando, nella ricerca di un equilibrio ideale, fra il rifugio offerto dalla tradizione e tentativi, quasi esasperati, di adeguamento.Le spedizioni hanno una virtù, possono aprirti un occhio nuovo e farti vedere cose, gente e posti che forse non avresti mai visto, ma ne hanno anche un’altra, paradossale, possono astrarti dal tuo mondo per trovargli un senso. La valle ShaksgamScavalcato il passo, iniziamo a scendere verso la valle del fiume Shaksgam. Da qui nel 94, avevamo girato a destra e seguito il braccio settentrionale del fiume; questa volta andremo a sinistra e ne risaliremo per due giorni il lato a meridione fino a raggiungere la confluenza con il ghiacciaio dei Gasherbrum. Lì i cammelli si fermeranno, e scaricato il materiale se ne torneranno ai loro villaggi.Lungo la strada attraversiamo l’oasi di Durbin, ricca di fiori e animali e conosciuta per le sue sorgenti di acqua calda. Ci lasciamo alle spalle il verde dell’erba, il viola ed il giallo rotondo e morbido di questi piccoli fiori, mentre appare davanti a noi il bagliore della neve ed il blu del freddo. Quando ritorneremo sui nostri passi, alla fine della spedizione, l’odore della terra tornerà a colpirci come un’onda travolgente. Solo allora il paesaggio, gli odori, l’andatura di nuovo leggera ritorneranno ad essere un insieme di sensazioni equilibrate. Il respiro caldo della terra si sprigionerà d’improvviso, e rappresenterà il rito di un piacere da tanto atteso, quello di rientrare nella nostra vita. Lungo la strada incontriamo i primi guadi, uno dei maggiori problemi delle spedizioni in queste valli. Il fiume è ora abbastanza tranquillo, ma durante l’estate, il disgelo fa aumentare il livello dell’acqua tanto da riempire questo immenso letto. Solo verso la metà di agosto, quando la temperatura in quota si abbassa nuovamente, il livello cala consentendo seppur con qualche rischio, di uscire dalla valle. Fino ad allora e cioè per quasi due mesi, non c’è niente da fare: bisogna stare di là.Questa terra ha una bellezza primordiale. Cammini per giorni e ti senti così piccolo e irrilevante che diventa facile capire come per gli uomini, vissuti in questi scenari, il vento non sia che il respiro delle montagne e ogni cima, la dimora di un dio.25 giugno, fronte del ghiacciaio dei Gasherbrum. Siamo arrivati al ghiacciaio. I cammellieri con i loro animali se ne sono andati, torneranno a riprenderci fra 45 giorni e fino ad allora saremo completamente soli. Per terra ci sono le impronte dei nostri animali e vicine ne scorgiamo altre, lasciate dalla carovana transitata di qui un anno fa e ancora visibili. In questa valle tutto è rimasto fermo nell’immobilità del tempo e immersi in un silenzio assoluto, sembra quasi di essere i primi uomini apparsi sulla terra. Solo la vista delle capre selvatiche che scappano spaventate, ci ricorda che siamo ancora in questo mondo. Può far paura questo viaggio che ti inghiotte e mette in disordine la tua vita, il tempo che restituisce valore allo spazio e questa solitudine, affollata solo dai tuoi pensieri. Davanti a noi, a fare da ponte fra cielo e terra, le montagne. E fra loro il Gasherbrum II, dal suo lato oscuro e sconosciuto: il versante nord. E’ questo che ha stuzzicato la nostra curiosità: l’idea che in un tempo come il nostro, in cui ogni mistero sembra svelato, un angolo della terra sia riuscito a rimanere inaccessibile e intatto.La spedizione è un viaggio rigorosamente a piedi, ma anche un viaggio con i piedi meno per terra che mai, perché da nessuna parte come qui, si può volare senz’ali.E’ il 25 giugno, stiamo camminando da cinque giorni e solo ora ha inizio la seconda fase dell’avvicinamento alla nostra montagna, quella che dal fronte del ghiacciaio ci porterà alla base della nostra montagna. Siamo soli, a mille miglia dal mondo; con noi abbiamo soltanto una cartina cinese ed una vecchia foto del Duca di Spoleto, che nel 1929 esplorò la valle Shaksgam. Da qui in poi la strada, ce la dovremo inventare da soli.LA CRONACALa nostra spedizione aveva un duplice obiettivo: tentare la salita del Gasherbrum II (metri 8035) lungo il suo versante inviolato e fare esplorazioni in questa zona, che per la sua asprezza e difficoltà di accesso è ancora in parte sconosciuta. Bloccati da condizioni atmosferiche particolarmente avverse, non abbiamo raggiunto la cima del Gasherbrum, ma siamo comunque riusciti ad effettuare un’ importante attività esplorativa e a salire alcune cime limitrofe inviolate. Dal 20 giugno al 14 agosto, la nostra carovana ha polverizzato più di trecento chilometri sotto i piedi, esplorato angoli sconosciuti e salito cime senza nome né storia. Il tempo e la neve ci hanno fermato ed il Gasherbrum II è rimasto inaccessibile e intatto. Ma intatte sono rimaste anche le cime salite e le valli esplorate perché nessuna traccia è rimasta del nostro passaggio, e quelli che seguiranno potranno assaporare il piacere dell’esplorazione così come noi l’abbiamo vissuto.Come per tutte le nostre spedizioni, anche qui, in questa zona aspra e per molti aspetti sconosciuta, abbiamo portato con noi solo i mezzi e le attrezzature indispensabili, non abbiamo usato ossigeno e siamo stati aiutati solo fino al campo base dai nostri due portatori. Una spedizione leggera e pulita, inadeguata in un’epoca ossessionata dagli exploit. Ma da quest’avventura un po’ fuori moda, traspare lieve la traccia del nostro passato e il cerchio si chiude. E’ questo il segreto delle Alpi Giulie.



HOME PAGE | NEWS | SPEDIZIONI | RACCONTI | GALLERIA MULTIMEDIALE | CONFERENZE | CONTATTI | SOLIDARIETA' | LINKS | Mappa del sito


Torna ai contenuti | Torna al menu