Nives MEROI


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dhaulagiri

SPEDIZIONI

SPEDIZIONE DHAULAGIRI 2005 - REPORTS

Arrivo a Kathmandu il giorno 31.03.05. La partenza ufficiale era prevista per i primi di aprile ma fonti ufficiali ci avevano comunicato che proprio per quei giorni era stato indetto uno sciopero da parte dei Maoisti, che avrebbe portato al blocco totale della zona. Così, onde evitare possibili ripercussioni sulla tabella di marcia, abbiamo deciso di anticipare la partenza al giorno 30.03.05, cercando, per quanto possibile, di anticipare i tempi.
Arrivati e Kathmandu il giorno 31.03.05 e dopo aver sbrigato le necessarie formalità presso il Ministero del Turismo, ci siamo dedicati a un paio di giorni di svago in giro per le caotiche vie della città. Il giorno 2 era prevista la partenza per Beni, la nostra prima tappa del trekking. Sveglia all’alba perché la sera prima eravamo stati avvisati che sulla strada ci sarebbero potuti essere dei problemi a causa degli scontri fra polizia e Maoisti. Caricato in tutta fretta il materiale sulla corriera partiamo molto presto, ma ci rendiamo subito conto che il nostro viaggio, per quel giorno, finisce lì: nel giro ci troviamo bloccati in una colonna interminabile. Pare che la polizia si aspetti un agguato da parte dei Maoisti e che, per ragioni di “sicurezza”, abbia deciso di posizionare un posto di blocco proprio sulla strada che da Kathmandu ci dovrebbe portare a Beni. Ci informano che il blocco è fissato solo per un paio d’ore, ma presto ci rendiamo conto che la situazione è destinata solo a peggiorare. Siamo stati fermi un giorno intero a sulla sulla strada che da Kathmandu ci avrebbe dovuto portare a Beni: costringendo centinaia di automezzi (tutti camion) a sostare per ore sotto un sole cocente e senza nessuna informazione relativamente all’evolversi della situazione.
In realtà si trattava solamente di una dimostrazione di forza per dimostrare ai Maoisti che comunque sia il potere non era in mano loro.
Così,al termine di quello che doveva essere il primo giorno di avvicinamento (e che doveva consistere in 150 km di bus) , ci siamo trovati ad aver percorso solamente 20 km in un giorno intero.
Al termine della giornata abbiamo fatto ritorno a Kathmandu per ritentare la partenza il giorno dopo.
Purtroppo il ritardo accumulato non ci permette d raggiungere Beni, come previsto, per cui siamo costretti a fermarci per una notte a Pokara.

04.04.05
dopo pranzo riprendiamo il viaggio e finalmente, verso sera, giungiamo a Beni. Ci sistemiamo in un lodge e trascorriamo lì la notte.

05.04.05
destinazione Babichaur (950 mt). Partiamo in mattinata dopo che i portatori si sono distribuiti i carichi. La tappa si sviluppa prevalentemente in piano e per circa 15 km seguiamo una strada sterrata attraverso piccoli villaggi. Al nostro passaggio la gente ci saluta con cordiali “Namastè” e i bambini ci rincorrono curiosi. E’ da due anni che di turisti in questa zona non se ne vedono e noi probabilmente siamo i primi che questi piccoli vedono.
Sembra di fare un salto indietro nel tempo: qui l’agricoltura e l’allevamento sono la principale fonte di sussistenza. La popolazione cerca, con strumenti quasi “primitivi”, di sfruttare al massimo le risorse della terra, ricavano terrazze da coltivare a riso e grano fin sulla cima delle montagne soprastanti i villaggi e fino giù, al fondo della valle, dove scorrono torrenti impetuosi.

06.04.05
Babichaur – Darapani (1400 mt).Finalmente cominciamo ad alzarci di quota ma fa ancora molto caldo, tanto che alcuni di noi si sono buttati nelle acque di un torrente che incontriamo per strada.

07.04.05
Darapani – Muri (1850). Incontro coi Maoisti. A differenza di quanto avevamo pensato i paesi che si presentano al nostro passaggio sono sempre più grandi e tutt’attorno enormi distese di campi di grano li circondano colorando il paesaggio di un verde intenso. Alla vista di questo paesaggio ci domandiamo quanta gente possa lavorarci. …

08.04.05
Muri – Boghara (2080).

09.04.05
Boghara – Dorbang (2520)

10.04.05
Dorbang – Sallagari (3050)

11.04.05
Sallagari – Italian Base Camp (3646). In neanche due ore di cammino raggiungiamo l’Italian Base Camp. Arriviamo alla spicciolata, come sempre, e subito posizioniamo le tende. E’ ancora presto e abbiamo tutto il tempo per riposare un po’ e cominciare ad acclimatarci pian piano. Alcuni di noi hanno già problemi, legati perlopiù a congestioni e a malattie da raffreddamento, ma per ora niente di grave.

12.04.05
Italian Base Camp – Middle Camp (4368)
In 4 ore di cammino arriviamo al Middle Camp, in mezzo alla morena, a poche ore dal CB del Dhaulagiri.

13.04.05
Dhaulagiri Base Camp (4.650 mt).

14/15.04.05
giorni di riposo al campo base. C’è chi passeggia, chi legge, chi si riposa, chi si prepara per l’imminente partenza. Domani sarà una giornata “piena”: i ragazzi del trekking partiranno per il Passo dei Francesi e nel contempo dovrebbero arrivare anche gli altri componenti della spedizione, Peter Guggemos, Inaki Ochoa e Christian Stangel. Una volta che il gruppo di alpinisti sarà al completo verrà effettuata la Puja, la cerimonia propiziatoria nella quale si benedicono gli attrezzi e si chiede la benevolenza degli dei della montagna, chiedendo loro perdono per calpestare i suoi fianchi.

17 aprile –
campo base.
Stamattina è stata celebrata la Puja; la cerimonia con cui chiediamo perdono al Dio Montagna perché salendo ne calpesteremo i fianchi.
Una cerimonia un po’ diversa rispetto a quella dello scorso anno, quando il lama ha recitato i mantra per più di due ore. Quest’anno la cerimonia è stata officiata da uno sherpa, il più religioso. Ha recitato una breve preghiera in tibetano, con cui ha chiamato tutte le montagne, a cominciare dal Chomolongma, la Dea Madre della Terra, chiedendo il loro perdono. A fianco dell’altare è stato acceso il fuoco con rami di ginepro e poste le offerte : frittelle a forma di montagna, mele- simbolo della natura e birra, che non so cosa rappresenti. Per incominciare sono state stese le bandiere di preghiera, che dal palo al centro dell’altare sono state irraggiate attraverso il nostro campo base: bandiera bianca, bandiera rossa, verde, gialla, blu… a rappresentare gli elementi dell’universo. I nostri attrezzi – piccozze, ramponi…- sono stati posti al fianco dell’altare e “segnati” con del burro, lo stesso burro offerto al Dio sotto forma di una piccola statua donata alla montagna. Gli attrezzi, così marchiati, sono anch’ essi benedetti e quindi possono, per il periodo della salita, violare la montagna. Dopo la recita del mantra, c’è stato il rituale lancio di farina e riso – per tre volte – e poi, dopo averle offerte al Dio Montagna, tutte le leccornie sono finite nelle nostre pance: cià, birra, frittelle, frutta.
Celebrata la puja, possiamo dare inizio alla salita; domani si parte.
Il programma prevede di salire fino ai metri, dove installeremo il nostro campo uno. Oltre al materiale per il campo, dovremo portare su anche qualche centinaio di metri di corde fisse, per attrezzare alcuni tratti di salita nella parte superiore, che sembrano piuttosto ripidi.
Adesso siamo rintanati nella tenda mensa, in attesa del pranzo.
Il cielo, a differenza dei giorni precedenti si è chiuso già in mattinata e fuori adesso nevischia e soffia un forte vento.
Speriamo che gli Dei Montagna, ci abbiano ascoltato.

18.04.05
Oggi siamo saliti alla volta del C1 (5800 mt). Siamo partiti verso le 6:30 a.m. e in circa 4 ore abbiamo raggiunto il campo. Gli zaini erano piuttosto carichi perché oltre al materiale per il campo abbiamo portato anche delle corde che dovranno essere fissate nella parte superiore della salita (fra il C2 ed il C3). Nel pomeriggio il tempo ha cominciato a guastarsi ma per fortuna eravamo già sulla via del ritorno.

19.04.05
Giorno di riposo al CB. Oggi il tempo si è guastato prima del solito e verso le 13 ha già cominciato e nevicare, come ogni pomeriggio.
Siamo stati fermi tutto il giorno sperando in un miglioramento; probabilmente domani ci fermeremo al CB aspettando che i pendii scarichino le abbondanti nevicate di questi due giorni.

20.04.05
il cielo è sereno ma le pareti continuano a scaricare ovunque. Ne approfittiamo per festeggiare al meglio il compleanno di Romano: baccalà con polenta per ricordare i sapori di casa…

21 aprile 2005
Campo Base Dhaulagiri.
Sono le 6 del mattino ed il gruppo è appena partito. Il tempo è bello e non fa nemmeno troppo freddo… Anche ‘stavolta ho deciso di alzarmi insieme a loro: “compartimos l’initio” direbbe Ivan (Vallejo, fortissimo alpinista equadoriano che ci tiene compagnia in quest’avventura): condividiamo la partenza.
Li vedo andare via uno dopo l’altro, seguendoli con lo sguardo fino alle corde fisse, alla base della parete. Il programma prevede due giorni di permanenza in quota, al campo 1 e al campo due, se tutto va bene. Io li aspetterò qui, come sempre, tenendo d’occhio il condominio (abbiamo cominciato a chiamare così il campo base, un folto gruppo di tende gialle nel bianco della valle).
Con me non è rimasto nessun alpinista; ci siamo solo io e i cuochi. Galzen, Badur, Biman: i loro nomi sono impronunciabili, ma la loro arte è incomparabile. Vedendomi sola mi hanno subito chiesto se volevo mangiare con loro nella tenda cucina, al calduccio: pietanze nepalesi, eccezionali!
Ho assaggiato di tutto, dal riso e dahl alle misteriose minestre di verdure (che chissà come fanno a conservare così buone dopo tanto tempo dal nostro arrivo al campo base). Mi trattano come una regina.
Passo le giornate con un occhio ai miei test e l’altro alla parete, tirando le orecchie al costante baccano che le valanghe e le numerose frane emettono nel loro precipitare a valle. Il tempo sta cambiando: fa sempre più caldo e la neve sta cominciando a sciogliersi velocemente. Di notte, da sola nella mia tenda, odo solamente il rumore del ghiaccio sotto di me e del vento che tuona sulla mia tenda. Un paesaggio surreale tutt’attorno, che inizialmente mi ha ispirato più paura che poesia…
Per fortuna ci sono i miei nuovi amici nepalesi: passiamo le serate a ridere e chiacchierare ed il tempo in loro compagnia scorre più velocemente. Si sono messi in testa di insegnarmi la loro lingua e devo dire che sono tremendamente esigenti. Caspita, non faccio altro che studiare!…
Il giorno 23 il team fa ritorno al campo. Il tempo non è dei migliori e non riesco a capire chi sta scendendo la parete. La neve continua a sciogliersi e vedo le figure scivolare ripetutamente nelle misteriose buche piene d’acqua che costellano il ghiacciaio.
Alla spicciola arrivano un po’ tutti e finalmente posso riabbracciare anche Nives Romano e Luca. Sono gli ultimi perché hanno deciso di non fermarsi al C2, come gli altri, ma di fare uno sforzo un più e di alzarlo, portando un po’ più in alto corde e materiale. Sono stati velocissimi, come sempre e nonostante la fatica hanno una carica eccezionale addosso; il loro umore pervade di allegria tutto il campo e la tensione dell’attesa si scioglie come neve al sole.
I cuochi ci preparano una deliziosa pastasciutta e passiamo qualche ora a chiaccherare della “passeggiata”.
Presto arriva la sera. Finalmente il Condominio si è ripopolato: ora posso dormire tranquilla.

22 aprile
Dal diario di Mario
Campo 1 provvisorio.
Come la lumaca (anche il passo).
Sulle spalle la casa della vita.
Nell’ascesa nuove prospettive, nuovi scenari; l’immenso Himalaya fa di sé bella mostra.
Ad Est spicca l’Annapurna.
Come la lumaca.
Neve bianchissima e immacolata, evidente la scia del camminato che s’arresta a mt.6400.
Magioni (chiocciole) colorate fioriscono sul costone.
Definitivo il primo campo.

24 aprile
campo base.
Dopo i festeggiamenti per il compleanno di Romano il 21 aprile abbiamo ripreso la salita.
Alle sei di mattina, dopo aver acceso dell’incenso e fatto il rituale giro intorno all’altare della Puja, zaino in spalla siamo partiti.
Abbiamo attraversato il ghiacciaio e, risalito il fianco dell’ice fall, siamo sbucati nella vallata superiore, che porta alla sella del C1, a 5800 metri di quota.
Il tempo è sereno ed in circa 4 ore raggiungiamo la sella, facciamo la piazzola, montiamo la tenda e poi risaliamo altri 600 metri per andare a preparare una nuova piazzola e portare del materiale in quello che diventerà il nostro campo 1 effettivo, a quota 6400.
Scendiamo nuovamente a 5800 e qui passiamo la notte.
La mattina successiva smontiamo la tenda e ripartiamo per spostare il nostro campo. In due ore raggiugiamo i 6400 metri di quota e qui si ricomincia: scavare il pendio per realizzare una piazzola, pareggiare il fondo, innalzare un muro di neve per proteggere la tenda dal vento… Dopo qualche ora ce la facciamo e possiamo finalmente sciogliere un po’ di neve per bere qualcosa.
Come ogni giorno nel pomeriggio arriva la bufera: il cielo si chiude, si alza il vento ed inizia a nevischiare, ma per fortuna, niente di serio.
Nonostante la bufera per portarci avanti con il lavoro ci rimettiamo in cammino e portiamo un po’ di zaini di corde più su, verso la base dello spigolo.
Alle cinque del pomeriggio inizia un’altra “lunga notte d’alta quota”. Rintanati in tenda sciogliamo pentolini di neve, mangiamo qualcosa, ci riposiamo, chiacchieriamo; insomma, cerchiamo con ogni mezzo di “tirar mattina”. Quest’anno una simpatica variante sono i test per l’Università di Udine da fare qui, sul campo. Si tratta di effettuare misurazioni sulla percentuale di saturazione di ossigeno nel sangue e un rilievo “serrato” della sintomatologia del mal di montagna. E’ Leila che ce li somministra e contemporaneamente facciamo da “cavie” anche per i suoi esperimenti di Laurea: un progetto pilota sulla valutazione della funzionalità cognitiva in alta quota.
Finalmente si fa giorno. Alle sette si ricomincia con la solita trafila: sciogliere la neve, mangiare qualcosa e, ultima ma forse la più impegntiva, la “vestizione”; uno per volta ovviamente, visto che prepararsi in tre, nei due metri quadri scarsi della tenda non è mai un’impresa facile.
Dopo un’oretta di spintoni e gomitate riusciamo a saltar fuori; il tempo è buono ma i cirrostrati che si adensano nel cielo annunciano un peggioramento.
Partiamo per risalire fino alla base delle rocce per portare fin lì le corde che dovranno essere fissate sui circa 500 metri dello spigolo di misto.
Al campo base oltre alla nostra c’è solo un’altra spedizione. E’ un gruppo coreano, che dispone di quattro sherpa. Insieme a loro abbiamo raggiunto un accordo di collaborazione: noi e i loro sherpa stiamo provvedendo a trasportare le corde e fissarle nei tratti più impegnativi del percorso – sugli alpinisti coreani, vista l’andatura, non c’è da far conto-.
Le condizioni della neve sono abbastanza buone e in un paio d’ore arriviamo alle rocce, a 6800 metri di quota. Depositiamo i nostri carichi e, girati i tacchi, scendiamo veloci verso il campo base.
Fuori dall’icefall, sulla morena, spiccano i colori delle nostre tende: il campo base. Dopo solo un paio di giorni su in parete rientrare al campo base è come tornare a casa: il caldo del sacco a pelo, la comodità del mangiare seduti a tavola, il tempo libero che ognuno impiega come vuole, anche senza far niente e senza nemmeno dover cercare un’alibi e sovrana, la meravigliosa cucina di Biman, il nostro cuoco nepalese e dei suoi collaboratori, che giorno dopo giorno ci deliziano con pantaruelici pasti di cucina italiana: l’ideale per recuperare le forze per le prossime salite…quelle per la cima.

1 maggio
campo base.
Arrivati al primo maggio, ormai nevica anche dentro di noi.
Dal 25, quando abbiamo installato il campo uno, il tempo è decisamente peggiorato: bufere e nevicate giornaliere, che al campo base significano cinque/dieci centimetri di neve fresca e giornate passate in tenda, ma su in quota, diventano trenta/quaranta centimetri che si sommano giorno dopo giorno su pendii che non riescono mai ad assestarsi.
La vita al campo base trascorre come sempre: sveglia alle otto, e poi, un’ora dopo l’altra, a dividere il tempo fra la tenda mensa ed il sacco a pelo, a leggere, scribacchiare, mangiare, chiaccherare. Dal “dolce far niente” stiamo lentamente scivolando in una pigrizia ovattata che rende pesante ogni gesto.
Ieri, con la lieve speranza di un improbabile miglioramento, siamo partiti tutti dal campo base per fare un tentativo alla cima.
Sveglia alle cinque, colazione e alle 6, dopo il rituale giro intorno alla puja, siamo partiti.
Il tempo, già piuttosto incerto, è rapidamente peggiorato ed ha iniziato a nevicare. Il vento cancella ogni traccia, mentre la nebbia nasconde ogni punto di riferimento: uno spuntone di roccia o un crepaccio. Camminando come ciechi siamo riusciti a raggiungere la quota di 5800 metri; abbiamo scaricato gli zaini nella tenda degli amici spagnoli e subito dopo, prima che i pendii si caricassero troppo di neve, siamo tornati indietro. Le nostre tracce erano già sparite e da ogni canale scendevano piccole valanghe. Alle 13 eravamo nuovamente al campo base: giusto in tempo per il pranzo.
Questa mattina il cielo è sereno ma come ogni giorno, fra un’ora al massimo, si chiuderà e ricomincerà la bufera. Ne approfittiamo per far asciugare la roba.
Fra un po’ sarà ora di pranzo e poi…un altro pomeriggio in tenda.

LEILA (03.05.05)
Finalmente il grande giorno: oggi i ragazzi partiranno per il primo effettivo tentativo alla cima.
Sveglia all’alba, come sempre; colazione veloce, i soliti saluti, un “giro” di Puja e poi via…li vedo sparire avvolti dalla nebbia. Sì perché qui ogni mattina l’umidità dalla foresta sottostante sale rapida e inesorabile, riempiendo nel giro di poco tutta la valle di un latte denso, impenetrabile. Ogni figura si tinge di un bianco irreale. Li vedo sparire uno alla volta e a me non rimane che aspettare.
Inaki ci ha gentilmente prestato due walkie-talkie, in modo tale da rimanere in contatto durante tutta la salita. Appuntamento ogni giorno dalle 10 alle 12 e dalle 18 alle 20…il resto è silenzio ed attesa.
Torno alla tenda e mi dedico ai test per l’Università. Controllo i valori raccolti in questi giorni e cerco di trovarne il filo conduttore. Più li scruto più mi rendo conto di quanto Nives, Romano e Luca siano delle “pessime” cavie: sembra che per loro la quota non esista e che la fatica sia un accessorio di cui ci si possa facilmente sbarazzare dopo qualche passo di riscaldamento.
Sono contenta perché stanno tutti bene e per il momento anche il tempo sembra reggere.
La giornata passa veloce ed è ormai ora di cena.
Oggi è il mio compleanno; mi spiace che Nives e gli altri non siano qui con me, ma nello stesso tempo spero che questa data possa portar loro fortuna. I ragazzi della cucina mi hanno preparato un ottimo budino alla fragola; mangiamo tutti insieme, quattro chiacchere in allegria e a nanna presto.
Domani mattina, naso alla parete e orecchio alla radio, trascorreremo il tempo appesi ad un filo.
Forza ragazzi!

(05.05.05)
Questa mattina sveglia all’alba: Luca mi ha chiamata da 7700 mt dicendomi di affacciarmi alla tenda e guardare in su. Mi precipito fuori e, “imbracciato” il binocolo, punto lo sguardo verso il nevaio posto sulla sommità del Dhaula. Eccoli! Corro dai kitchen boy e faccio vedere anche a loro.
Questo significa che ormai i ragazzi sono in prossimità della vetta e che finalmente manca poco al loro ritorno. Chiamo Luca nella speranza di poter avere qualche notizia in più, ma si vede che il posto in cui sono non è raggiungibile e devo rassegnarmi all’idea di dover aspettare ancora.
Ieri pomeriggio la notizia che i coreani hanno conquistato la cima, ora tocca a noi.
h.10:30
Nuovo contatto radio con Luca. “Torniamo giù”, mi dice con una voce tra il serio e lo stanco. Io non capisco. Domando se sono o meno arrivati in cima e se stanno tutti bene.
“Tutto bene, - risponde lui – siamo arrivati in cima, ma a quanto pare non è quella giusta.”
Ma ci sarà un segno, domando agitata, qualcosa che indichi la sommità di questo enorme panettone? Luca risponde che in vetta hanno trovato un palo di alluminio, quello che probabilmente molti alpinisti hanno considerato come il vertice della salita. Erano sulla cresta sì, ma di certo la salita non era finita: continuava per una trentina di metri, minacciando gli incauti con la sua aria pericolosa.
E le tracce dei coreani? Hanno detto di essere arrivati in cima, significherà qualcosa se le hanno incontrate sul loro cammino!
Le tracce dei coreani finiscono 400 metri prima… pare che questa montagna abbia più di una vetta.
Verso sera quasi tutto il gruppo fa rientro al CB. Sono stanchi, bruciacchiati e fortemente disidratati. I ragazzi della cucina vanno loro incontro offrendogli del succo caldo. Io li raggiungo e subito prendo le misure per l’Università. Hanno le pulsazioni alte ma l’ossigenazione e buona.
Stanno tutti bene, ma la loro testa è ancora lassù, su quella vetta vista ma non conquistata. Potrebbero considerarsi già arrivati (in fondo chissà quanti alpinisti hanno dichiarato di aver conquistato la vetta “del palo”), ma la loro coscienza di persona e di professionisti impone il silenzio.
Qualche giorno al CB, un po’ di riposo e poi su di nuovo…sarebbe la seconda volta gli 8000 mt del Dhaulagiri.
Inshallà, siamo tutti con voi!

MARIO (05.05.05)
“La cresta infinita”
Indispensabile tachicardia costringe cuori in tumulto.
Locomotori solitari (caldaie in pressione) arrancano sul binario di nylon.
Inteminabile prospettiva che deborda oltre la cresta.
Purgatorio dantesco per scelta.
Sfida? Gloria? Curiosità? Limite personale?
La ragione mutua l’istinto del conoscere;
esso alberga oltre le Colonne d’Ercole.

7 maggio – campo base. “Ops! Abbiamo sbagliato cima…”
Tutto è iniziato il 3 maggio, quando alle sei di mattina siamo partiti dal campo base alla volta del nostro campo uno, a quota 6300 metri circa. Il tempo era discreto; nel primo pomeriggio abbiamo raggiunto la nostra tenda e ci siamo preparti per la notte.
La mattina successiva abbiamo aspettato che arrivasse il sole per far asciugare un po’ la tenda ed i sacchi pelo; poi ci siamo preparati, caricato gli zaini e siamo partiti.
Verso le tre del pomeriggio, arrivati a 7300 metri, abbiamo deciso di fermarci per la notte. Dopo la fatica della giornata: le molte ore di cammino e gli zaini carichi sulle spalle, riuscire a ricavare una spiazzo nel pendio di ghiaccio e neve ci ha richiesto un ulteriore sforzo. Dopo oltre un’ora di lavoro siamo riusciti a montare la tenda e ad infilarci dentro per poter finalmente stenderci un po’ e sciogliere la neve per bere qualcosa.
Al caldo, dentro la nostra piccola tenda, fra una “Nalgene” di the e una di limonata abbiamo “fatto i compiti”: i test per l’Università e quelli per Leila. Evitiamo di guardare lo strumento che misura la percentuale di ossigeno nel sangue per non demoralizzarci, mentre a vicenda ci sottoponiamo a test del tipo: sottrai 7 dal numero 100, e vai avanti così finchè ti dico stop. Un compito difficilissimo per una come me, che certi conti non riesce a farli neanche livello del mare.
Dopo qualche ora di riposo, a mezzanotte ci svegliamo e iniziamo l’estenuante lavoro della “vestizione”. Prepararsi in tre, nei due metri quadri scarsi di tenda, non è mai impresa facile: cercare di bere e mangiare qualcosa, vestirsi, scaldare gli scarponi sul fornello per riuscire ad infilarli. All’una e mezza riusciamo a saltar fuori e partiamo alla luce delle lampade frontali.
Saliamo divisi, ciascuno avvolto dal bagliore della sua lampada. Soli.
Sotto di noi un mare di nuvole, attraverso il quale intravvediamo il bagliore dei fulmini di un temporale che si sta scaricando sotto. Continuiamo a salire.
Vedo la frontale di Romano che procede ad un paio di centinaia di metri davanti a me, a metà strada c’è Luca, per ultima io. La neve è fonda e pericolosa, sotto i miei piedi avverto le vibrazioni dei passi di Luca. L’equilibrio di tutto il pendio, enorme, sembra appeso a un filo e sotto, un salto nel vuoto di oltre 3000 metri.
Finalmente si fa giorno; è una bella sensazione potersi guardare intorno, anche se il freddo della notte ancora non mi fa sentire i piedi e le mani.
Il pendio continua ad impennarsi, a fatica annaspiamo nella neve inconsistente seguendo le tracce della spedizione coreana che ieri era quassù.
Ho sorpassato Luca; Romano mi aspetta sulla cresta, tiro fuori le ultime energie: spero proprio di essere arrivata. E invece: le tracce coreane si interrompono, ma la cresta prosegue… E così tocca andare avanti. Saliamo ancora un centinaio di metri, lungo la cresta di roccia e neve, fino ad una cima, dove qualcuno ha piantato un paletto d’alluminio. Facciamo le foto, le riprese con la videocamera e poi via, per abbassarci il più possibile, per scappare al più presto da questi luoghi, in cui la vita è interrotta, sospesa.
Scendiamo quasi col fiato sospeso, lungo i pendii che sembrano vibrare ancora di più ad ogni passo.
Lungo la strada incrociamo Inaki Ochoa, nostro compagno di spedizione, che era partito dal campo base ieri sera, per tentare una salita non-stop. E’ bello non essere soli quassù, gli raccontiamo della nostra salita e lui, inesorabile, dice:”Ma quella non è la cima. La vera è “due cime più in là”, uno spuntone più alto di circa 30 metri.”.
Siamo senza parole, tornare su è impensabile.
Decidiamo di scendere tutti insieme, non ci resta che tornare al base, attendere una nuova finestra di bel tempo e poi cercare di tornare su fino alla cima, quella vera ‘sta volta!

Nel primo pomeriggio siamo nuovamente alla tenda, dove troviamo gli altri nostri compagni: Mario, Cesare, Roberto e Klemen che stanno salendo ad installare il campo 3.
Depositato il materiale, loro vogliono tornare al campo base, prendersi un po’ di riposo e poi fare il loro tentativo alla cima.
E’ ancora presto, abbiamo abbastanza ore di luce: decidiamo di scendere anche noi fino giù, al base.

LUCA
30 secondi di brivido nell’acqua fredda, 30 secondi nell’acqua calda… è così che ho cominciato il mio secondo giorno di riposo al CB dopo l’avventura del Dhaulagiri. Ho i piedi congelati e il solo pensiero di dover affrontare nuovamente la parete mi demoralizza.
Tre giorni di fatica non si smaltiscono tanto facilmente, soprattutto quando il freddo ha contribuito a rendere tutto più difficile. Mancava veramente poco: una manciata di metri e saremmo stati in cima. Purtroppo però la nostra strada non era quella giusta. Un bastone metallico era il segno che forse quella era la vetta, ma a volte anche i segni più evidenti nascondono l’inganno.
Ora dovremo attendere qualche giorno per riprendere le forze (e la sensibilità ai piedi per quel che riguarda me) e sperare che il tempo giochi a nostro favore, permettendoci di afferrare quegli ultimi trenta metri che ci separano dalla certezza di essere arrivati finalmente in cima, quella giusta ‘stavolta.

7 maggio
campo base. Le previsioni “promettono” un leggero miglioramento del tempo: attenuazione del vento e condizioni di tempo discreto.
Domani si parte per cercare di raggiungere la cima vera, ‘sta volta.

10 maggio
quota 6800 metri.
Partiti dalla nostra tenda a 6300, ‘sta mattina alle 8, il tempo era sereno ed il vento lieve. Pian piano il cielo si è chiuso ed è iniziato a nevicare. Adesso siamo qui, rintanati in un crepaccio, a meditare sul da farsi. Anche l’altra volta, quando siamo arrivati sulla “Italian Summit”- come l’abbiamo scherzosamente soprannominata- , il tempo fino al campo a 7300 era simile,ma adesso sembra peggiorare a vista d’occhio.
Sopra la nostra testa partono le corde fisse del ripido spigolo di roccia e neve che porta al nostro campo 2.
Nevica forte, la visibilità è scarsa; io e Luca decidiamo di “metterci in cammino”. Saltiamo fuori dal crepaccio, ci spostiamo sullo spigolo e attacchiamo lo jumar alla corda.
Un crepitio intorno alla testa, come un’aureola. In un attimo ci rendiamo conto: fulmini. L’aria è piena di elettricità.
Con un un salto siamo di nuovo al riparo nel crepaccio. E adesso? Cosa facciamo?
Innanzitutto dobbiamo aspettare un po’ per vedere se passa il temporale e poi scegliere se andare avanti, scendere al base, oppure tornare al campo 1 e aspettare un giorno.
Da fuori Romano infila la testa nel crepaccio, “qui, continua a peggiorare. Dobbiamo decidere.”
Il temporale non accenna a spostarsi, ma sono già caduti almeno 30 centimetri di neve e la visibilità è nulla, al massimo 5/6 metri.
Dobbiamo cercare di scendere.
I primi 500 metri sono relativamente facili da intuire, anche se “accecati” dalla nebbia: una lunga cresta nevosa dalla pendenza relativamente tranquilla. Il problema ben presto lo avvertiamo, sono nuovamente i fulmini. L’aureola intorno alla testa, uno strano “sfrigolio” nella mano che stringe la piccozza, ed in bocca il sapore amaro dello zolfo.
Corriamo per qualche metro e quando l’atmosfera si carica troppo, ci accucciamo a terra, allontaniamo le picche e aspettiamo un po’; poi ci rialziamo, facciamo qualche altro metro e poi giù di nuovo.
Alla fine della cresta dobbiamo buttarci a destra e prendere il lungo plateaux che porta alla sella a 5800 ed in mezzo al quale, oltre a qualche crepaccio, si trova il nostro campo 1. Spostandoci dalla cresta dovremmo essere meno esposti ai fulmini, ma qui i problemi sono altri: il rischio di far partire qualche valanga e quello di
trovare la strada. La nebbia è sempre fitta, nessun punto di riferimento, “a naso” prendiamo una direzione: il primo scende e quando inizia a sparire nella nebbia parte il secondo. Sotto i piedi, il rumore di una placca di neve, ti sposti, per cercare di evitarla e non far partire la valanga.
Lontano adesso si sente il fragore del tuono; mentre quello che avvertiamo qui è tensione, fatica.
Troviamo la tenda a 6300, intuiamo la direzione dei grandi crepacci, finalmente arriviamo alla sella a 5800 metri. Da qui in poi basta “imbroccare” il ponte di neve sul crepaccio, scendere sul plateaux, poi l’icefall, e attraverso il ghiacciaio raggiungere il campo base: un paio d’ore.
Via radio avvisiamo Leila che ci aspetta al base. Anche lì la situazione non è piacevole: il vento ha quasi portato via la tenda mensa.
Scendiamo veloci, qui ha nevicato di meno. Ancora qualche problema in fondo al plateaux, dove la nebbia ci fa perdere in mezzo ai crepacci e finalmente, verso le 16 arriviamo al campo base; stanchi, stufi e “ghiacciati”.
Nives

Martedì 10 maggio 2005
Dal diario di MARIO Cedolin
Bufera a 7000
La casualità delle variabili naturali non asseconda certo le aspettative umane,
ne esalta invece l’imprevedibile, quello che da certezze l’indomani.
Stamane sono fragili progetti in vetro che il vento rabbioso infrange.
Diventano infiniti cristalli e si confondono con quelli della neve:
Strali beffardi che t’infilzano il poco scoperto e la volontà; poi il brontolio del tuono
Si confonde con il fragore della valanga e la folgore con l’adrenalina.
Fluttui nella nebbia ionizzata come in un bagno elettrolitico che ti adorna
Con un orpello di ghiaccio, la neve lievita a inglobare le cose e l’intorno,
monta soffice a nascondere la traccia: Filo d’Arianna che conduce al ritorno.
Qui gli ignavi non campano, così proponi e scegli.
Scegli di accettare il rischio(certamente calcolato) della “fuga” anelando agli
“agi”del CB fra crepacci occulti e probabili valanghe.
Oggi l’istinto e la ragione ti hanno premiato.
Sei nella condizione di recuperare e mettere insieme i pezzi del tuo progetto di cristallo.-
Mario

13.05.05 Leila_
Oggi Mario, Roberto, Cesare e Klemen tornano a casa.
H. 4:00 a.m. Il suono della sveglia mi strappa ad un sonno malato, di quelli instabili che generalmente precedono le partenze. Fuori è ancora buio, ma per non svegliare Luca evito di usare la frontale, cercando di prepararmi alla cieca. Ottima scelta: per sbaglio con un braccio urto il soffitto ghiacciato della tenda…ed è subito il piacere di una pioggia gelida lungo il collo.
In tenda mensa trovo Roberto e Klemen alle prese con una delle salutari colazioni di Biman: cheese-omelette e uova fritte, il giusto ristoro per chi oggi dovrà farsi 12 ore di cammino valicando due Passi ad oltre 5300 mt (French Pass e Dhampus Pass). Saranno a Marpha ‘stasera alle 18 c.ca e, dopo una bella doccia ed una birra (speriamo alla nostra…), finalmente potranno scrollarsi di dosso tutto il freddo patito in quest’ultimo mese.
Marpha…è dall’inizio della spedizione che ne sento parlare. Si tratta di uno splendido paesino situato a 2700 mt di quota, una vera e propria oasi per i trekker in uscita dal circuito del Dhaulagiri.
Lì si possono trovare circa una decina di comodi lodge e la giusta atmosfera per riposare un po’ le ossa. Inoltre a solo un’ora di strada c’è Jomson, un altro paesino dove volendo è possibile prendere l’aereo e tornare rapidamente a Katmandu.
Sarei dovuta essere anch’io con loro, diretta all’Annapurna, ma la mancata cima ha fatto sì che i miei piani subissero qualche modifica. Nives e gli altri pensano che ci sia ancora tempo per tentare la vetta ed io starò qui finchè loro lo riterranno opportuno. Il meteo ha previsto “(…) vento in attenuazione per sabato e domenica, con possibilità di miglioramento per i primi giorni della prossima settimana”. Speriamo bene, ormai per noi le previsioni hanno la stessa tinta dell’oroscopo…pare che raggiungere questa cima sia solo una questione astrale.
Partiti da casa in una ventina di persone, ora siamo rimasti solamente in sette: Romano, Luca, Nives, io e poi Inaki, Ivan e Christian.

Inaki (Ochoa), 37 anni di Pamplona – Spagna. Laureato in filosofia è un alpinista professionista, con al suo attivo la salita di nove “ottomila” fino alla cima principale, lo Shisha Pangma fino alla cima mediana e quattro ripetizioni. Fotografo, scrittore e conferenziere, nonché istruttore di arrampicata.
“Un angolo dell’oceano cosmico”
Tentare la salita subito, avvolto nuovamente nella contraddizione bellissima ed insormontabile che è parte dell’alpinismo, quella di salire per poi ridiscendere. Quella di stare laggiù-volendo stare quassù, e viceversa. Elessi una strada che non conosce compromesso, vie di mezzo, toni grigi, che rinnega apertamente la mediocrità e la routine. Quando leggerete questo, io sarò un’altra volta lassù, a mettere in gioco la mia vita. Senza nessuna superiorità né presunzione. Non abbiate dubbi, tenterò di giustificarmi, nuovamente, sopravvivendo.”

Ivan (Vallejo), 45 anni Ecuadoriano. Ingegnere chimico (e gran ballerino).
Ha salito dieci ottomila, di cui due volte l’Everest da nord e sud – senza ossigeno. Insegnante universitario fino al 2000, da allora è alpinista professionista. Come Inaki, Ivan è fotografo, scrittore e conferenziere.
“Sopra il valore dell’attesa”
Ecuador – casa. ”Quanti libri porto quest’anno… sei … No, con tutto il lavoro che mi aspetta (due montagne, il Dhaula e l’Annapurna, preparare i campi, battere la traccia, l’acclimatamento…) no, ne basteranno tre -.
Caramba, che pretesa la mia! O meglio, che arroganza. Stupidamente credevo che con i miei dieci ottomila avrei avuto un passaporto con il visto per il bel tempo e per le buone condizioni della parete. E invece adesso sono qui, da ben nove giorni chiuso nella mia tenda, ad aspettare un miglioramento del tempo.
Che gran lezione mi ha dato questa montagna: il valore della pazienza e dell’attesa, sapendo che questa normalmente arriva quando ne hai maggiormente bisogno.
Ringrazio il Dhaulagiri, perché sicuramente mi stavo dimenticando dell’umiltà che è necessaria per sapere aspettare.

Christian (Stangl), 38 anni, di Admont - Austria. Ingegnere elettrico, alpinista professionista.
Ha al suo attivo due ottomila saliti.
“Il pensiero Zen di Christian”
Sono qui per tentare di salire il Dhaulagiri.

15.05.05
Il tempo scorre lento qui al CB. Gli unici eventi significativi della giornata sono i succulenti break alimentari di Biman, il nostro cuoco. E’ incredibile come con un nonnulla riesca a preparare pietanze deliziose; a pranzo e cena mai niente di uguale: pasta, riso, verdure, grigliate e dolci di ogni tipo, un vero e proprio Paradiso per i golosi. Prima di partire Nives mi aveva detto che in spedizione l’alimentazione non è quasi mai equilibrata, così mi ero preparata portando con me ogni genere di integratore. Ben presto però mi sono accorta che con Biman tutto ciò è superfluo, tanto che non so nemmeno dove li ho messi…
Biman è una vecchia conoscenza di Nives e Romano: era il 96, all’Everest, quando lo incontrarono per la prima volta. All’epoca aveva 23 anni e stava facendo il suo praticantato come kitchen-boy.
Ora, a distanza di dieci anni, ha fatto carriera ed è diventato capocuoco.

Famiglia e se gli manca. Cosa ne pensano del tuo lavoro
E’ un buon lavoro?
Episodio da raccontare o una figura che gli è piaciuta particolarmente
Se è mai stato in Italia. Cosa hai fatto?
Come vedi l’alpinismo/alpinisti?
Hai mai pensato di diventare sherpa d’alta quota?

16.05.05
Comincia una nuova settimana. Un’altra, l’ennesima al cospetto del Dhaula.
Siamo rimasti completamente soli al CB e lo scorrere delle ore ha assunto ormai una lentezza d’altri tempi. Ci si alza il mattino presto, al sorgere del sole (prima sarebbe un suicidio, viste le temperature non proprio tropicali delle notti himalayane); colazione, pranzo, riposino e cena…per ora l’unico verbo che pare meglio adattarsi alle nostre giornate è “wir fressen” (= noi gozzovigliamo), gentilmente prestatoci dal compagno Christian Stangl. Effettivamente qui non si fa che mangiare, nel tentativo di soffocare almeno con il cibo la noia che giorno dopo giorno si accumula sia nel morale che nel fisico. Atleti e non si avvicendano nelle quotidiane faccende, cercando di non perdere mai di vista l’obiettivo comune: toccare la vetta di questo difficile Ottomila.
I viveri cominciano a scarseggiare, così che venerdì scorso Galzen e Badur (i due kitchen-boy) sono andati fino a Marpha per rifornire gli approvvigionamenti: uova, verdura fresca, latte, il necessario per tirare avanti ancora qualche giorno. In verità ognuno di noi, in cuor suo, spera che questi acquisti non siano necessari e che entro la prossima settimana si possa finalmente volare all’Annapurna.
Oggi il sole splende beffardo e non soffia un alito di vento. Le temperature sono salite in maniera consistente e gli alpinisti fremono come cavalli da corsa alla linea di partenza. Per domani è prevista la tanto anelata finestra di bel tempo e finalmente sembra che i ragazzi possano dare inizio all’ultimo (speriamo decisivo) assalto alla vetta. In questi giorni hanno avuto tempo per riposare e coltivare la pazienza; ora è lo sforzo che deve prevalere, la spinta verso l’alto.
Non si fa che puntare lo sguardo in su, con un occhio al cielo ed uno alla parete. Valanghe e scariche di sassi sono all’ordine del giorno, tanto che ormai non ci si fa più neanche caso. Questa mattina però la nostra attenzione è stata catturata da un boato più forte del solito: una valanga enorme alla destra del C1 proprio dove, fino a qualche giorno fa, ferveva un avvicendarasi continuo di alpinisti e di sherpa (ndL. vedi spedizione coreana). Si vede che la buona sorte esiste veramente e a quanto pare ha fatto il suo dovere…
Domani mattina partenza alle h.4:30. Questa volta è tutto il gruppo che si mette in moto: gli italiani (Nives, Romano e Luca), gli ispanici (Ivan e Inaki) e l’austriaco (Christian).
Partenza – C1 (6300 mt) – C2 (7300 mt): questo il piano di salita; le incognite: ci saranno ancora le nostre tende? E le picozze abbandonate in parete il giorno dei fulmini? Sì perché dopo circa una settimana di neve, bufera, vento a 40 mt/sec (in vetta) probabilmente la nostra attrezzatura può essere volata via ed in tal caso ci converrebbe fare armi e bagagli e tornarcene zitti zitti a casa. Sarebbe veramente un gran colpo di sfortuna, anche perché l’idea di partire e “spararsi” su senza la certezza di trovare il materiale non è confortante, oltre che estremamente pericolosa.
Il Dhaulagiri si sta dimostrando un osso duro, non tanto per la difficoltà tecnica della parete, quanto per l’incognita-meteo e tutto ciò che ne deriva. La via per la cima è lunga, anche se non particolarmente ripida: arrivati alla cresta posta a 6500 mt la pendenza cresce dai 40 ai 55-60° fino a 7400 mt. Ed è questa la linea di soglia, il punto a partire dal quale i ragazzi si giocheranno tutto: le gambe dovranno andare al massimo, tagliando pendii carichi di neve e poco assestati, mentre è alla testa che rimarrà il compito più difficile, ossia sostenere lo stress e una motivazione tirata all’estremo, cercando un passo dopo l’altro di illudere la fatica. E poi il rischio di valanghe, il vento e le corde fisse poco sicure o semplicemente sommerse dalla neve…un bel mix soprattutto per chi, come loro, affronta la montagna in completa autonomia, senza portatori né ossigeno, contando solo sulle proprie forze e sull’esperienza accumulata in questi anni di duro lavoro.
Leila

17.05.05
H.4:30 partenza dal CB. Stamattina sono partiti Nives, Romano, Luca, Ivan e Inaki. Christian ha deciso di fermarsi qui e di partè rimasto qui a causa del brutto tempo; non se la sentiva di rischiare a causa delle valanghe e del troppo vento.
Pare che le tende al campo 1 ed al campo 2 siano state rotte dal vento e dalla troppa neve.
Stamattina il vento soffiava più imbufalito del solito, sbattendo e schiacciando le tende come fossero fazzoletti. Il gruppo si è messo in cammino velocemente per evitare possibili valanghe lungo il percorso. Alle 10 il primo contatto radio con Luca: “Tutto ok, siamo sotto il C1; la neve tiene e noi siamo in forma”. Lo riferisco a Christian che ancora non ha deciso cosa fare, se andare su oggi o domani. Nel pomeriggio mi chiama Inaki dal C1. C1?!…ma non doveva essere già al 2? Pare che la tenda sia stata distrutta dalle abbondanti nevicate e che sia lui che Ivan abbiano dovuto fare ritorno a quota 6… Pare che anche gli italiani abbiano avuto qualche problema con tende e materiali, ma non so niente di preciso. Nel frattempo mi arrivano le previsioni: pare che giovedì, il giorno del possibile tentativo alla cima il tempo sarà instabile, con possibilità di temporali, vento e neve…direi che come premesse non Le previsioni hanno messo bel tempo. Probabilmente a marpha ci sono Internet point e telefono. Christian ha deciso di partire questa notte. C1 e procede verso il c2 e deve cercare il suo equipaggiamento.
Il tempo sembra non aver
Stamattina il vento sbatteva le tende come fossero bandierine. Risveglio violento

RINUNCIA
...Nel buio cosmico, sopra la cima
fluttua sfavillante la via Lattea.
Infinite stelle: metafora d'umane aspirazioni
che imperturbabile alba affievolisce e spegne.

Ti confronti dunque con la snervante realtà,
fragile omino nei capricci del tempo.
Versanti instabili sulla grande montagna
che già sognavi tua.

Coltiva la speranza, abbandona l'ira, dimentica il rammarico.
La rinuncia consolida l'esperienza e
concede altre notti per realizzare sogni
che nessun' alba cancella.
Mario

18.05.05
Una notte tormentata; il vento ha soffiato furioso fino alle prime ore della mattina, sbattendo le tende come bandierine impazzite. In lontananza il solito frastuono delle valanghe e davanti a me il Dhaulagiri maestoso soffiato dalle continue raffiche gelate.
Accendo la radio, pur sapendo che oggi non riuscirò ad avere contatti con i ragazzi. Il C1, ove dovrebbero trovarsi ora, è situato in una zona poco coperta e sono certa che sarà impossibile sentirli.
Non sono tranquilla: le previsioni paiono buone, ma questa si sta dimostrando una montagna davvero ricca di sorprese. Cerco di rilassarmi, evitando di pensare alle difficoltà che i ragazzi si troveranno a dover affrontare.
In mattinata la comunicazione della tragedia all’Annapurna. Sono sconvolta. Immediatamente telefono a casa per avvisare mia madre del fatto che il nostro gruppo è ancora al Dhaulagiri e che per il momento va tutto bene.
Nel pomeriggio il tempo cambia e comincia a nevicare, come sempre da queste parti. Verso le 5 mi chiama Inaki dal C1: “qui c’è un tempo infernale, nevica e non si vede niente. Dal C2 è venuta giù una valanga enorme, con blocchi alti come case; continuare è un suicidio, non ci sono le condizioni adatte. Devo decidere se scendere al base, com’è il tempo lì?”
Gli rispondo che qui il cielo si sta rasserenando e gli chiedo che fine abbiano fatto gli altri. “Ivan e Christian si trovano al nostro C1 (5900 mt) – risponde, in una posizione che spaventerebbe chiunque. Gli italiani sono più su, al C2. Oggi ero a 7300 con Romano e sulla cresta di fronte si sentiva forte il rumore dei tuoni… Terribile, in queste condizioni andare avanti è troppo pericoloso; in montagna esistono delle regole e sono dell’idea che vadano rispettate. Conosco bene il limite che posso accettare, oltre non intendo spingermi.”
Percepisco la sua tensione e immediatamente mi rendo conto di come stanno effettivamente le cose.
In serata faranno ritorno Inaki ed Ivan, mentre la mattina seguente sarà la volta di Christian.
Gli italiani hanno deciso di rimanere su ed alle h. 1,30 circa partire per fare un ultimo tentativo alla vetta.

19.05.05
Una notte meravigliosa: la luna tinge della sua fredda luce l’intera vallata, completamente dimentica del vento dei giorni scorsi. Il silenzio è ovunque e la temperatura sembra quasi essersi alzata. La notte giusta per la cima. Una notte insonne.
Alle 6:30 c.ca il primo contatto radio con Luca: si trova al C2 e dalla sua voce non è difficile intuire che qualcosa è andato storto. Mi riferisce che ‘stamane sono arrivati a quota 7700 (in prossimità del grande nevaio, poco sotto la cima) ma che le condizioni del pendìo si sono fatte troppo pericolose per pensare di proseguire.
Le continue ed abbondanti precipitazioni di quest’ultimo mese infatti, associate all’azione del forte vento, hanno portato alla formazione di enormi lastre di neve, lastre di “dimensioni himalayane”. Subito la decisione di scendere. Andare avanti sarebbe troppo pericoloso.
Alle 13.30 c.ca vedo tre piccole sagome poco più sopra delle corde fisse, all’attacco della parete. Sono loro, stanno arrivando. Insieme ai ragazzi della cucina mi incammino sul ghiacciaio per portare loro qualcosa di caldo da bere.
La stanchezza quasi non si percepisce sui loro volti. Sono sereni. Hanno fatto la scelta giusta.
In tenda mensa scambiamo quattro chiacchere e subito vengo a conoscenza di quanti rischi abbiano corso. Una salita a continuo contatto con il pericolo, quest’ultima: partiti con l’incognita di non trovare né le tende né il materiale, hanno subito dovuto fare i conti con il maltempo e l’incessante rischio di valanghe. Arrivati a 6300 mt (C1) trovano la loro Mountain Hardware semisommersa dalla neve: è necessario svuotarla, “strizzarla”, cercare di farne asciugare il contenuto (sacchi a pelo, materassini, tute in piuma, ecc) e, ovviamente, rifare la piazzola. A 7300 mt (C2) stessa situazione: tenda rotta e bufera a complicare la situazione. Delle picozze abbandonate sulla cresta il giorno dei fulmini nessuna traccia, tantomeno del bastone a cui erano state assicurate. Decisi a raggiungere la cima hanno proseguito sino a 7700 mt. Unico ausilio una picozza ed i bastoncini. In seguito la decisione di scendere.
Leila Meroi


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